Torno sul perché stiamo partecipando tutti di questo sforzo, e sull’equivoco che ci porta continuamente a pensare che quello che ognuno fa è per proteggere se stesso da una malattia, mentre in realtà stiamo proteggendo la comunità da una crisi: e quindi anche noi stessi, certo, ma facendo un giro diverso, e le considerazioni sono diverse. Perché le scelte che stiamo facendo non sono quindi legate alle responsabilità che ci prendiamo rispetto ai rischi personali – su cui ognuno può avere autonomia di giudizio – ma rispetto ai rischi di tutti, e al successo di un lavoro “di squadra”, perdonatemi la pigra espressione sportiva e la solennità un po’ eccessiva di questo post, di cui mi accorgo rileggendolo. Passerà anche questa.
Quello a cui stiamo partecipando è interessante perché somiglia molto all’idea di condivisione che è alla base della democrazia e della convivenza, del senso di comunità. Somiglia molto a quello che decidiamo di fare, andando ogni volta a votare, quando la logica e i dati suggerirebbero la palese irrilevanza del nostro singolo voto rispetto a un risultato in cui il nostro singolo voto sarà diluito tra decine di milioni di voti. Ed è del tutto vero, a ogni elezione, che il voto di ciascuno di noi, se isolato, non cambia niente. Nessuno di noi, ha mai cambiato col suo solo voto un risultato elettorale democratico: ciascuno di noi poteva non avere votato mai e la storia politica dell’Italia non sarebbe cambiata. Ma abbiamo imparato a pensare che quel voto non sia “isolato” ma sia intimamente legato a un impegno condiviso comune di funzionamento della democrazia, che funzioni perché funziona un complesso di cui fa parte, e viceversa.
La stessa cosa sta succedendo ora: come quando andiamo a votare scegliamo poi di votare cose diverse, anche adesso possiamo avere idee o opinioni o coinvolgimenti diversi su quello che sta succedendo. Ma questo avviene a valle di una condivisione e di un impegno comune: che prevede che queste cose funzioneranno quanto più sono partecipate (e ben informate), come le democrazie. E se io oggi vado a spasso in centro probabilmente non cambierà niente nei numeri e nei percorsi della diffusione del contagio, ma il mio non andarci è la maglia di un tessuto che così tiene, così ripara, così protegge. Non lo sto facendo per difendere me, e nemmeno le persone a me vicine, ma per rispetto di un accordo implicito con tutti e per proteggere una cosa a cui appartengo e a cui tengo, e per proteggerla non solo dal coronavirus.