Ho visto questo film con Brad Pitt che si chiama “Moneyball”. Parla di baseball. Come i lettori di questo blog sanno, a me il baseball piace. Dice: come fa a piacerti il baseball? Per due ragioni: una è che ci ho giocato da ragazzino, a Pisa. L’altra cerco spesso di spiegarla e non ci riesco quasi mai: il baseball è lo sport più letterario del mondo, quello con dentro più storie e umanità di tutti, quello meno fisico e atletico (i giocatori sono spesso non giovani, si corre molto poco). Non è un gioco a chi è più forte, come altri: è un romanzo, una serie di romanzi. È una biblioteca. Ogni partita ha dentro mille storie che avvengono solo in piccola parte dentro a quel campo in quel momento. O, per dirla con Brad Pitt in Moneyball:
«È dura non essere romantici col baseball»
E insomma, era dal fuoricampo di Roy Hobbs nel Migliore con Robert Redford, che non mi commuovevo per un fuoricampo. Ma per quelli meno sentimentali, dirò che è una storia vera che sembra costruita con la struttura del dramma, che c’è sopra tutta la retorica e gli effetti hollywoodiani, sommati alla retorica e agli effetti del baseball, ma anche che è un film che mostra molto poco baseball giocato. Se ne parla, tutto il tempo. Poi potrei dirvi anche che è un film che – come il baseball – parla della vita e di come le rivoluzioni vincono mentre i rivoluzionari perdono, e del cambiare le cose da dentro senza che nessuno ti dia una lira e tutte altre retoriche di questo genere. Di cui a volte è fatta la realtà, e a volte no.
A me è piaciuto, insomma.
L’ho visto sul volo Hong Kong-Sydney qualche giorno fa e mi è molto piaciuto perché il rivoluzionario ha perso ma la rivoluzione ha vinto.
La politica non c’entra, o forse si, ma la metafora che quelli di ollivud sanno raccontare come pochi è stimolante se applicata alla vita nostra.
Parlando così del baseball, della letteratura e della vita mi fai venire in mente uno dei miei film preferiti. Contiene “Una stagione di fede assoluta”…
:-)
Bella questa recensione, la storia di un film raccontata attraverso altre storie, senza annunciare premi oscar e quant’altro. Mi piace.
Bellissimo il post sulla tua breve e poco fortunata carriera da giocatore di baseball, Luca. Anch’io come te, ho giocato a baseball da ragazzino, più o meno dai 14 ai 16 anni, in un’improbabile squadra milanese chiamata Young Boys, allora (anni Settanta) la terza e più sfigata della città (e no, non c’era ancora quella di Elio). E anch’io come te ero una schiappa, perennemente confinata in panchina nel campionato Allievi, salvo fugaci apparizioni nel finale di partite dominate o in cui venivamo travolti. Essendo mancino, venivo anch’io spedito a fare l’esterno destro; la prima base l’ho solo sognata. Ero una schiappa anche e soprattutto perché in battuta avevo paura della palla. E infatti non credo di aver mai fatto una valida, le poche volte che sono andato in battuta. Ricordo che una volta ho guadagnato la base perché il lanciatore mi ha colpito, fortunatamente senza farmi male. E il compagno che batteva dopo di me ha fatto fuoricampo, sicché ho provato persino l’emozione di fare la corsetta in totale scioltezza fino a casa base. Ma benché in seguito abbia seguito pochissimo il baseball, in un certo senso mi è rimasto dentro, quindi capisco benissimo le emozioni che tu provi guardandolo, o guardando i film che ne parlano. E conosco bebe l’incredulità mostrata dalle persone ai quali confessi che, sì, il baseball ti piace, è un bello sport, tutt’altro che noioso se lo sai seguire. O forse anche noioso, in confronto a una partita di pallone, ma solo perché non va visto in _quel_ modo, ma con un diverso ateggiamento di spirito. Potrei andare avanti, ma hai già detto tutto molto bene tu.
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