Lanci nel vuoto

Una ipotesi plausibile sul futuro del giornalismo che improvvisamente mi ha illuminato oggi è che continueremo a parlare per anni del futuro del giornalismo. Che non è neanche male, si imparano delle cose.
Per esempio, ultimamente ho letto alcune cose che riflettono su come il ruolo dei giornalisti (figura mitologica in cui si riduce e si semplifica una grande varietà di attività) vada sempre più verso quello di “aggregatori” o “curatori”. Che poi è il ruolo del deejay di cui scrivevo altre volte. Prima cosa da ricordare è che non esiste una distinzione tra giornali che “producono notizie” e giornali che le “curano e aggregano”. Le due cose sono fatte in percentuali diverse da tutti i media: all’inizio i giornali e i giornalisti erano in piccola misura ricettori di notizie, e soprattutto dovevano andarsele a cercare, chiedere, informarsi, spulciare, avere delle intuizioni, fare tentativi (parte del loro lavoro è a sua volta usare il lavoro degli altri, quelli di cui i giornali scrivono, recensiscono, divulgano). Poi progressivamente le notizie hanno cominciato a raggiungerli da sole, una volta che il loro ruolo e la loro popolarità sono cresciuti e una volta che sono diventati referenti di servizi e comunicazioni di molti tipi: e hanno cominciato a essere più “curatori”, appunto. Deejay.

Quest’offerta di notizie che ci raggiungono tutti è esplosa con internet: e oggi nelle redazioni tradizionali il lavoro del deejay è diventato prevalente (leggere e seguire montagne di cose, scegliere, mettere nei cassetti, inviare a un’elaborazione, mettere da parte, copiare, aggregare insieme). E intanto sono nati anche nuove redazioni e nuovi giornali basati totalmente o quasi su questo (il Post è uno di questi): il filtro di tutto ciò che è accessibile via internet, giornali, tv e altri canali ancora di quello che vale, e la sua selezione, elaborazione, traduzione, spiegazione, sintesi, arricchimento, semplificazione (nel caso del Post; altri limitano gli interventi alle aggregazioni tout court o a vie di mezzo).

Tutta questa premessa mette insieme cose che abbiamo già detto in passato, per arrivare a un caso particolare: quello delle agenzie di stampa. Le agenzie di stampa sono tradizionalmente usate dalle redazioni come “fornitori” di notizie, funzione che oggi come abbiamo visto trova da internet una concorrenza fortissima, e gratuita. Basta notare per esempio che su qualunque notizia internazionale l’offerta che arriva da Twitter supera sistematicamente in rapidità, ricchezza e qualità quella degli abbonamenti alle agenzie di stampa: inevitabilmente. Le agenzie di stampa sono, per loro funzione primigenia, quelle che fanno più fatica a spostarsi da “produttori” di notizie a “curatori”: sono nate per quello e ancora servono a quello, benché tra i loro servizi compaiano anche degli articoli di sintesi, ricapitolo e quadro generale.
Ma servono molto meno, quindi hanno dalla loro tre fattori: uno, i loro clienti sono pochi, lenti e abituati a quel servizio, che è molto costoso: e le consuetudini dei rapporti tra le agenzie e i loro clienti (giornali, media ma anche istituzioni) si corroderanno più lentamente di quelle tra i giornali e i lettori. Due, la concorrenza di internet e Twitter sulle cose italiane è già forte ma lascia ancora spazi non coperti (soprattutto nella politica, nel dichiarazionismo e sul fronte comunicati stampa) .Tre, la loro grande opportunità di ripensarsi e investire di più sulla possibilità di essere ottimi deejay: perché controllano la materia prima, producono i dischi, e fare le playlist è più facile e potenzialmente produce migliori risultati. E perché è quello che serve, soprattutto: non i lanci e gli aggiornamenti sulle bombe a Gaza che abbiamo già letto da ore in rete e con maggiore affidabilità e dettaglio. Ma la spiegazione di cosa succede prima, dopo e intorno a quei bombardamenti, per esempio.

Delle tre cose – la lentezza dei clienti a tagliare, la sopravvivenza di temi routinari, e l’opportunità del cambiare – io fossi le agenzie comincerei a investire sulla terza.

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4 commenti su “Lanci nel vuoto

  1. alessandra quattrocchi

    l’analisi è ampia e molto interessante ma a me (giornalista di agenzia) sembra incompleta. Il lavoro del dj sta soprattutto nella capacità di cernita delle notizie: il giornalista di agenzia oggi setaccia anche i social network, decide su cosa scrivere, “convalida” in qualche modo le notizie che arrivano da twitter ecc. Magari perfino dopo averle verificate. Questa è una funzione che sta diventando sempre più indispensabile nel marasma di segnali che arrivano dalla rete.

  2. ilbarbaro

    Vorrei porre una domanda ai giornalisti tutti e a quelli di agenzia in particolare: visto che tutti reclamano la capacità di verificare e filtrare le notizie, come mai si leggono ancora un sacco di boiate (delicato eufemismo che potrebbe non salvarmi dalla censura), inesattezze, falsità e imprecisioni? Dalle cattive traduzioni alle pseudo-notizie riprese sic et simpliciter da fonti di discutibile attendibilità fino alle vere e proprie falsità spacciate con protervia, perché non dovrebbe essere legittimo varare un dispositivo che punisca gravemente la mancanza di professionalità degli appartenenti a una categoria che ha preteso e pretende un ordine a garanzia dei cittadini, prima ancora che a tutela dei propri privilegi?

  3. Drockato

    Bell’analisi. Finalmente completa e circostanziata. Finalmente lasciando da parte protagonismi e autoreferenzialità. Mi trovo d’accordo con tutto, sembrerà impossibile, con il “tenutario di questo blog e peraltro direttore del Post”. Era ora che si rendesse marcata la distinzione tra giornalisti e “giornalismi”. Infatti se non posso essere d’accordo sull’affinità tra giornalisti produttori di notizie (vedi agenzie di stampa e cronisti) e giornalisti redattori/content manager, mi posso invece trovare d’accordo sull’analisi dei giornali in sè (e finalmente, ripeto ancora, sulla definizione di ciò che il Post è e non è).

    Applausi insomma…

    @alessandra quattrocchi – Trovo giusto il ragionamento che fai sui social network, ma trovo assurdo che venga specificato in quel modo l’uso delle fonti. Quel “magari perfino dopo averle verificate”, qualora non fosse ironico (ovvio), sarebbe l’antitesi di ciò che il giornalismo in senso stretto dovrebbe fare, e cioè verificare OGNI notizia prima della diffusione. Soprattutto in Italia, dove i professionisti del fact checking interni alle redazioni non esistono più o non sono mai esistiti. Il controllo delle notizie dovrebbe quindi passare prima dalle agenzie stampa: ne ricavereste credibilità e reputazione maggiore no?

  4. danielotto

    A proposito dei giornalisti deejay e delle notizie come intrattenimento, un altro post, di Carson Chow, postato oggi

    This is an obvious observation but it struck me one day while watching the evening national news on multiple channels that the only thing that can differentiate between different programs cannot be news because true news is reported by everyone by definition. Half of all the news programs are identical and the other half covers random human interest stories. Given that the true news will have likely to have taken place earlier in the day, the actual news stories will not be novel. This clearly indicates that the national nightly news is doomed for extinction. Based on the commercials aired during the programs, the average demographic are senior citizens. Once they are gone, so will the nightly news, “and that’s the way it is“.

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