Mancano un sacco di pezzi

Visto che continua a non occuparsene nessuno dei giornalisti più esperti su quei temi, quei luoghi, quelle pratiche, quei tribunali, continuiamo a cercare di ricostruire da soli cosa sia esattamente e da dove venga l’intercettazione tra Rosario Crocetta e il suo medico Matteo Tutino raccontata la settimana scorsa dall’Espresso.
E facciamo un po’ d’ordine, che nel frattempo le informazioni si sono molto confuse.

L’Espresso non ha “pubblicato l’intercettazione”: nel suo articolo diffuso otto giorni fa gli autori dell’articolo raccontano dell’esistenza di quell’intercettazione e riferiscono le parole virgolettate che conterrebbe. Lo fanno sbrigativamente all’inizio di un articolo che poi parla d’altro senza più tornare su quella frase.

Lucia Borsellino «va fatta fuori. Come suo padre». Come Paolo Borsellino, il giudice assassinato il 19 luglio 1992. Sono parole pesantissime, intercettate pochi mesi fa. A pronunciarle non è un boss, ma un medico di successo: Matteo Tutino, primario dell’ospedale palermitano Villa Sofia. All’altro capo del telefono c’è il governatore della Sicilia Rosario Crocetta, che ascolta e tace. Non si indigna, non replica: nessuna reazione di fronte a quel commento macabro nei confronti dell’assessore della sua giunta, scelto come simbolo di legalità in un settore da sempre culla di interessi mafiosi. Crocetta, che ha costruito tutta la sua carriera di politico di sinistra sventolando la bandiera della lotta a Cosa Nostra, non ha nulla da dire.

Il neretto è mio, e tornerà interessante tra poco. Come vedete in quel primo testo non c’è nessuna indicazione che abbia a che fare con la comprensione di quello che ci stiamo chiedendo qui (“cosa sia esattamente e da dove venga l’intercettazione”), nessun dettaglio concreto che dia qualche risposta alla domanda del lettore: “Come fate a saperlo?”.

Immediatamente dopo la pubblicazione dell’articolo, la Procura di Palermo annuncia una prima volta – lo farà ancora ripetutamente e perentoriamente – che quella frase non compare in nessuna intercettazione agli atti delle inchieste palermitane (successivamente diranno le stesse cose altre procure siciliane tirate in ballo). In risposta a questa smentita l’Espresso pubblica immediatamente una breve nota firmata dalla “Direzione” in cui si conferma l’autenticità della frase, con questa formula.

L’Espresso ribadisce quanto pubblicato. La conversazione intercettata tra il presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta e il primario Matteo Tutino risale al 2013 e fa parte dei fascicoli segretati di uno dei tre filoni di indagine in corso sull’ospedale Villa Sofia di Palermo.

Il neretto è mio e vedete da soli una prima contraddizione nelle versioni, a poche ore di distanza. Se l’intercettazione risale al 2013, si tratta di – minimo – 19 mesi fa. Che non sono “pochi mesi fa”: probabile che sia una maldestra inaccuratezza della prima versione, magari un’abitudine a enfatizzare rendendo le cose più vicine nel tempo di quanto siano. Ma qualcosa di inesatto nell’articolo protagonista della storia è svelato già dopo poche ore.

Nei giorni successivi la ricerca della soluzione che tenga in piedi sia la versione dell’Espresso che quella della Procura dà pochi risultati: anzi, a essere sinceri, non avviene praticamente nemmeno la ricerca, salvo che sul Post e qualche giorno dopo in un articolo del sito Fanpage. Ma prima l’Espresso ha aggiunto un’ulteriore nota firmata dal direttore, che contiene un primo tentativo di spiegare la smentita della Procura.

Già in passato per tutelare il segreto di inchieste relative a cariche istituzionali, la procura di Palermo ha smentito rivelazioni de “l’Espresso” che poi si sono dimostrate vere.

E contemporaneamente il Corriere della Sera parla con un caporedattore dell’Espresso che dice:

«La Procura dice cose vere, la telefonata non è trascritta negli atti depositati, ma omette che sia fra gi atti non depositati di un’inchiesta collegata»

Solo che la prima cosa – che la Procura smentisca per proteggere “cariche istituzionali” – si mostra subito implausibile e non sarà più ripresa da nessuno: la Procura smentisce e strasmentisce senza condizioni, e non ci sono cariche istituzionali così rilevanti da tutelare come nel caso precedente citato dall’Espresso. E la seconda cosa è – come detto – rapidamente smontata dalle smentite più estese di Palermo e delle altre procure Siciliane.
Quindi siamo daccapo, e le due versioni sembrano inconciliabili.

A questo punto appare un’ipotesi, prima su questo blog e poi su Fanpage. In sintesi, che l’intercettazione esista ma sia stata fatta all’insaputa della Procura e illecitamente da qualche ente investigativo, dal quale è poi stata a un certo punto fatta arrivare all’ Espresso. Nessuno la smentisce (nessuno si occupa di indagare in generale, ripeto). E giovedì l’Espresso pubblica una ricostruzione per difendersi da dubbi e contestazioni, che conserva plausibile quest’ipotesi e aggiunge poco poco, ma qualcosa.

Come riportano gli atti della procura, tra «l’autunno del 2013 e i primi mesi del 2014» erano in corso intercettazioni telefoniche e ambientali nei confronti di Tutino. A maggio 2014 uno degli investigatori fa ascoltare ai cronisti Piero Messina e Maurizio Zoppi il brano di un audio, presentandolo come la dichiarazione di Tutino al governatore Rosario Crocetta sulla necessità di “far fuori” l’assessore Lucia Borsellino. In quel momento, l’esistenza di intercettazioni era ancora segreta e parlarne avrebbe compromesso l’esito delle indagini.

E quindi ora l’Espresso ci dice quando i suoi giornalisti hanno ascoltato l’intercettazione di cui hanno riferito la settimana scorsa: a maggio 2014. E aggiunge:

Il 2 luglio 2015 alle 13.19 la stessa fonte contatta Piero Messina e gli ricorda la vicenda dell’intercettazione. Gli scandisce parola per parola la frase di Tutino: « Lucia Borsellino va fatta fuori. Come il padre». E il silenzio di Crocetta inciso nei nastri.

Ricapitolo quello che è certo in questa versione, escludendo quello che invece non si sa. A maggio 2014 i due giornalisti dell’Espresso ascoltano da un investigatore “il brano di un audio” e l’investigatore dice loro che si tratta di una dichiarazione di Tutino “sulla necessità di “far fuori”” Lucia Borsellino.
Fermiamoci un momento.
Il primo luglio scorso (il giorno prima della telefonata citata dall’Espresso) era uscito un articolo sul quotidiano La Sicilia in cui a un certo punto si parlava di voci su certe intercettazioni, e se ne citavano delle parole.

E proprio in quelle carte, fra le centinaia di pagine di “omissis”, dentro le quali si favoleggia di dialoghi da far sbiancare il comune senso del pudore, ci sarebbero anche i dettagli di un patto segreto. Gli ostentatori dell’amicizia con Crocetta si confrontano su come «fare fuori politicamente Lucia Borsellino», dice chi quelle carte le ha sbirciate.

Quindi 24 ore prima qualcun altro aveva già parlato a un altro giornale di un’intercettazione in cui “ostentatori dell’amicizia con Crocetta” parlano di «fare fuori politicamente Lucia Borsellino». Può darsi l’intercettazione sia un’altra. Non è poi detto che sia vera, anche questa. Oppure è invece la stessa: e Tutino è di sicuro un “ostentatore di amicizia con Crocetta” e le parole citate si somigliano moltissimo: più avanti poi si dice anche della “risposta blanda e imbarazzata di Crocetta”. Ma c’è una differenza rilevantissima: sulla Sicilia l’espressione sgradevolissima è “far fuori politicamente” e l’allusione alla strage di via D’Amelio non compare, sull’Espresso l’espressione è terrificante ed è la ragione dello scandalo scatenato contro Tutino e Crocetta che l’ha ascoltata. Se ci si riferisse alle stesse parole, l’esistenza o meno di quel “come suo padre” aggiunto dall’Espresso a quello che aveva già pubblicato La Sicilia sarebbe una questione pesantissima.

Proseguiamo con lo sviluppo esposto dall’Espresso. Dopo aver ascoltato “il brano di un audio” a maggio 2014, dice l’Espresso, il 2 luglio 2015 i giornalisti vengono chiamati dalla fonte che gliel’aveva fatta ascoltare, la quale fonte “gliela ricorda”. “Scandisce” le parole. Ovvero i due non ascoltano di nuovo quella registrazione, non sappiamo nemmeno se esista più, consentendo che sia davvero esistita. L’ultima volta che è stata riprodotta, a quanto sappiamo, è nel maggio 2014 (poi c’è questa cosa dei “nastri”, linguaggio di cui siamo tutti succubi: immagino non si usino più i nastri per operazioni di questo genere da un pezzo).

Dunque forse non esiste più nessuna documentazione di quell’intercettazione. Vediamo in che rapporto sta questa considerazione con l’ipotesi unica sulla genesi dell’intercettazione, quella che la suppone frutto di un’iniziativa illegale e inconfessabile. Perché nel frattempo una circostanza che a me era sfuggita l’ha messa in piccola parte in discussione: esiste infatti un contesto che rende possibile compiere intercettazioni senza l’autorizzazione del giudice e senza lasciare traccia in atti processuali ufficiali.
Riguarda i servizi e le attività di prevenzione in contesti particolari di sicurezza nazionale (articolo 226 delle norme di coordinamento del codice di procedura penale del 1989, qui). Incollo tutta la parte rilevante, ma sotto spiego meglio.

Il Ministro dell’interno o, su sua delega, i responsabili dei Servizi centrali di cui all’articolo 12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, nonché il questore o il comandante provinciale dei Carabinieri e della Guardia di finanza, richiedono al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui si trova il soggetto da sottoporre a controllo ovvero, nel caso non sia determinabile, del distretto in cui sono emerse le esigenze di prevenzione, l’autorizzazione all’intercettazione di comunicazioni o conversazioni, anche per via telematica, quando sia necessario per l’acquisizione di notizie concernenti la prevenzione di delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4 e 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. Il Ministro dell’interno può altresì delegare il Direttore della Direzione investigativa antimafia limitatamente ai delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale.

2. Il procuratore della Repubblica, ove ritenga fondati i sospetti che giustifichino l’attività di prevenzione, autorizza l’intercettazione per la durata massima di giorni quaranta, prorogabile una sola volta per giorni venti.

3. Delle operazioni svolte e dei contenuti intercettati è redatto verbale sintetico che, unitamente ai supporti utilizzati, è depositato presso il procuratore che ha autorizzato le attività entro cinque giorni dal termine delle stesse. Il procuratore, verificata la conformità delle attività compiute all’autorizzazione, dispone l’immediata distruzione dei supporti e dei verbali.

4. Con le modalità e nei casi di cui ai commi 1 e 3, può essere autorizzato il tracciamento delle comunicazioni telefoniche e telematiche, nonché l’acquisizione dei dati esterni relativi alle comunicazioni telefoniche e telematiche intercorse e l’acquisizione di ogni altra informazione utile in possesso degli operatori di telecomunicazioni.

5. In ogni caso gli elementi acquisiti attraverso le attivita’ preventive non possono essere utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi. In ogni caso le attività di intercettazione preventiva di cui ai commi precedenti, e le notizie acquisite a seguito delle attività medesime, non possono essere menzionate in atti di indagine né costituire oggetto di deposizione né essere altrimenti divulgate.

Cosa dice quindi quest’articolo, e quali sono le condizioni in cui vengono effettuate delle intercettazioni che poi non compariranno agli atti delle inchieste? Dice che in caso in cui sia necessario per ottenere notizie utili alla “prevenzione” di delitti molto gravi, i “servizi centrali” (“servizi centrali e interprovinciali della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza”) possono essere autorizzati dal Procuratore (senza l’avallo di un giudice) a compiere intercettazioni per quaranta giorni, della cui documentazione sarà pochi giorni dopo – una volta usate o meno le informazioni a soli fini investigativi e non di prova – disposta la totale distruzione, e non potranno essere usate né menzionate in alcun modo giudiziariamente. “Né essere altrimenti divulgate”.

Come capite, è difficile far rientrare questa eccezione giuridica in uno scenario che spieghi l’intercettazione di cui stiamo parlando: però un’eccezione c’è, e sappiamo bene che capita ed è capitato nelle cose italiane che una norma sia strumentalmente ed elasticamente adattata a contesti diversi da quelli per cui è stata pensata.

Ma anche se fosse successo questo, e l’intercettazione fosse stata compiuta in condizioni che spieghino come mai oggi il Procuratore possa (o debba) dire che “non è agli atti” (e lo stesso Procuratore potrebbe non esserne a conoscenza, essendo stato nominato a dicembre 2014, e quindi non l’avrebbe autorizzata lui ma il suo predecessore Francesco Messineo), lo stesso avrebbe dovuto essere stata distrutta quasi immediatamente, al massimo entro gennaio 2014, se è stata fatta nel 2013 come dice l’Espresso. Invece i suoi giornalisti dicono di averla ascoltata a maggio 2014.

Tutto questo quali possibilità lascia in campo, ammesso che tutti i citati dicano la verità? Ammesso che tutti i citati dicano la verità, due, direi.
Una è che qualcuno abbia conservato copia di quella registrazione, e che il “brano audio” ascoltato dai giornalisti dell’Espresso fosse una riproduzione illecita delle registrazioni originali regolarmente distrutte (per quanto discutibilmente acquisite). Realisticamente molto difficile da immaginare, ma la realtà sta prendendo pieghe inimmaginabili, ultimamente.
L’altra è ancora l’unica che avevamo finora, ovvero che quella registrazione sia stata compiuta illegalmente. L’ipotesi cosiddetta terrificante.

Quanto all’Espresso, sembra la cosa più probabile che non sia in possesso di niente – per sua stessa ammissione – che possa comprovare la registrazione di quella frase al centro del suo “scoop”: anche se pare davvero troppo sventato avventurarsi in una pubblicazione di questa portata senza garanzie. Ma data la delicatezza della sua posizione è anche comprensibile che l’Espresso sia molto prudente nell’aggiungere dettagli e racconti ai lettori (la prima contraddizione era già palese dopo poche ore), e che quindi dobbiamo cercare di ricostruirceli da soli. L’unico elemento di prova a sua disposizione – se Crocetta proseguisse a volerne discutere in tribunale – in questo caso sarebbe la testimonianza della sua fonte, ma appare molto difficile che questa voglia esporsi (avrebbe compiuto un reato, in ogni caso). Quindi, fondata o no che sia la sua versione, l’Espresso non si è messo in una posizione piacevole e di sicurezza nei confronti di Crocetta mentre lo attaccava. E il nuovo editoriale del direttore mostra infatti una prudenza conseguente assai lontana dall’aggressività dell’articolo da cui è partito tutto.

La telefonata riportata dal nostro giornale si è trasformata essa stessa in un mistero. Gli autori dell’articolo l’hanno ascoltata e trascritta, verificata con più fonti investigative, incrociata con le informazioni in loro possesso. In tempi di Internet, dove tutto si vede e si sente, non possedere l’audio sembra un punto debole nella veridicità dell’intercettazione. A maggior ragione di fronte alle smentite della Procura di Palermo e quella di Caltanissetta circa l’esistenza di quella precisa frase. L’avvocato di Crocetta ha annunciato un’azione legale contro “l’Espresso” chiedendo per il suo assistito un risarcimento danni di 10 milioni. Non ci spaventa. La causa può diventare l’occasione processuale per comprovare la piena correttezza del comportamento del giornale e per fare definitiva  chiarezza su quanto è avvenuto.

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17 commenti su “Mancano un sacco di pezzi

  1. Michelangelo

    Bene. Vedo che dopo un po’ diventa evidente a tutti che non è che in questa vicenda nessuno ci fa un bella figura: è L’Espresso ad essersi messo nei guai. Il punto è che senza uno straccio di prova oggettiva, nessuno può verificare sulla bontà della frase pubblicata, l’unica veramente rilevante. Che La Sicilia avesse pubblicato qualcosa di simile non è assolutamente rilevante, anche se sostiene l’idea che la voce di un’intercettazione di quella natura fosse effettivamente circolata a Palermo. Ma, adesso come adesso non si può sapere (visto che, anche se fosse esistita, la registrazione sarebbe stata comunque distrutta): 1) se la registrazione sia esistita davvero o se la sono inventati i giornalisti, 2) nel caso l’intercettazione fosse esistita, se questa avesse contenuto quella frase esatta, una simile o nessuna rilevante per il caso, 3) se la registrazione fosse effettivamente derivata da un’intercettazione, oppure se si fosse trattato di un falso ben costruito, 4) nel caso si fosse trattato di un’intercettazione, come mai le procure e i NAS non ne hanno avuto notizia. Non vale nemmeno la pena fare speculazioni su ciascuno di questi punti, visto che non potremo mai sapere come è andata per davvero. Questo a meno che la registrazione non salti fuori improvvisamente.
    L’Espresso si è messo nei guai, e non importa sapere se lo ha fatto in buonafede: non potendo provare la sua versione dei fatti è come se si fosse inventato tutto. Il brutto è che, stante a quello che viene raccontato dal settimanale stesso, sembrerebbe che i giornalisti siano stati vittime inconsapevoli di un gioco di potere.

  2. archi

    riepilogo temporale:
    2013 anno presunta intercettazione
    autunno 2013-primi mesi 2014 intercettazioni ufficiali della procura siciliana su Tutino
    Maggio 2014 ascolto intercettazione da parte dell’Espresso, “far fuori” Lucia Borsellino
    dicembre 2014 Lo Voi viene nominato procuratore a Palermo
    29 Giugno 2015 Tutino viene arrestato
    1 Luglio 2015 La Scilia pubblica articolo con frasi “va fatta fuori politicamente”
    2 Luglio 2015 Lucia Borsellino si dimette
    2 Luglio 2015 la fonte chiama l’Espresso per ricordargli “va fatta fuori. Come suo padre”
    16 Luglio l’Espresso pubblica l’articolo con la frase riportata
    17 luglio Lo Voi smentisce l’esistenza dell’intercettazione, perlomeno ai suoi atti e in quelli dei NAS
    19 luglio 2015 anniversario strage via d’Amelio

    C’è un’evidente accelerazione degli eventi con l’arresto di Tutino.

    Sembra quasi che l’Espresso abbia temuto di venir scavalcatoo e perdere l’attimo propizio per la pubblicazione dello scoop, in pratica ha avuto 2 settimane di fuoco durante le quali ha dovuto decidere se e come procedere, evidentemente prima che l’anniversario della strage desse la possibilità di un eco ancora più esplosivo delle rivelazioni.

    Probabilmente doveva sembrare un’opportunità in grado di cambiare la vita delle persone coinvolte essere i primi a far scoppiare uno scandalo di questa portata, il che non gioca molto a favore nella serenità delle scelte fatte.

  3. andreo73

    Infatti pubblicare una notizia più di un anno dopo che se ne ha conoscenza è in ogni caso dimostrazione di pessimo giornalismo.

  4. archi

    Sai che mi viene in mente? Molto semplicemente, senza immaginare contesti fantastici e complottari.

    Nessuno ha fatto caso che l’Espresso non ha mai detto di aver inteso chiaramente quella frase nella registrazione che ha ascoltato?

    i cronisti hanno ascoltato la registrazione della telefonata (per ammissione di Vicinanza, che tra l’altro manco l’ha ascoltata) disturbata e con interferenze e successivamente è stato permesso ai cronisti di “ricopiarne la trascrizione” ricopiare una trascrizione vuol dire copiare un testo scritto nel quale è trascritto il testo della telefonata.

    Quante parole hanno trascritto di questa telefonata? solo quelle o qualcosa di più ampio, attraverso la quale magari risalire alla registrazione negli atti?

    Vogliamo ricordare anche che nell’ultima ricostruzione fornita dall’Espresso non si parla neppure più di telefonata ma di

    “brano di un audio, presentandolo come la dichiarazione di Tutino al governatore Rosario Crocetta sulla necessità di “far fuori” l’assessore Lucia Borsellino”

    e che l’unico riferimento al testo completo è nella telefonata successiva:

    “Il 2 luglio 2015 alle 13.19 la stessa fonte contatta Piero Messina e gli ricorda la vicenda dell’intercettazione. Gli scandisce parola per parola la frase di Tutino: « Lucia Borsellino va fatta fuori. Come il padre». E il silenzio di Crocetta inciso nei nastri.”

    infine “Lunedì 13 luglio, alla vigilia della pubblicazione del settimanale, Messina e Zoppi incontrano un autorevole inquirente a cui sottopongono parola per parola il testo dell’intercettazione tra Tutino e Crocetta. Ricevono una conferma totale e chiara, assieme all’invito a procedere con la pubblicazione: «Questa volta si va fino in fondo».”
    Si, ma quale testo… quello del “va fatta fuori” del primo periodo, quello ricopiato dalla trascrizione o quello citato al telefono dalla fonte?

    A parte le incongruenze e la scelta delle parole, Come mai questa incertezza nella rappresentazione di una realtà che mai come adesso dovrebbe essere netta ed inequivocabile? Non sarà mica il caso di fare all’Espresso un paio di domande molto ma molto chiare e dirette?

  5. archi

    E vogliamo sperticarci ancora di più nelle fantasie, visto che tutta la vicenda ruota nel dare un significato ad un silenzio in una conversazione incerta penso di potermi prendere la libertà.

    Quando “la telefonata esiste” si trasforma in un “brano audio presentato come una dichiarazione di Tutino a Crocetta”, quando “va fatta fuori come suo padre” si trasforma in dichiarazione sulla necessità di “far fuori”, quando “abbiamo ascoltato” si trasforma in “fa ascoltare ai cronisti Piero Messina e Maurizio Zoppi”, quando una fonte che ci ha chiesto di rimanere anonima si trasforma in ” Il 2 luglio 2015 alle 13.19 la stessa fonte contatta Piero Messina” con chiari riferimenti ad un semplice tabulato telefonico, iniziano a venirmi strani pensieri:

    Non è che Vicinanza, superato il periodo di eccitazione iniziale, dopo le smentite delle procure e le denunce, abbia iniziato a farsi ed a fare agli autori delle domande, e che a fronte di risposte non proprio soddisfacienti e nette abbia iniziato a prendersi qualche distanza, spiegando tra le righe fatti, incertezze e divisioni di responsabilità?

    Così… per dire.

  6. Luca Sofri

    Aggiungo una cosa qui, che avevo dimenticato di trattare e su Twitter mi è stata giustamente fatta notare. Che il direttore dell’Espresso inserisca nel suo racconto così generico l’orario esatto della telefonata della fonte non è evidentemente una strana pignoleria, ma ce n’è qualche ragione. Che si tratti solo di garantirsi rispetto a successive indagine sui tabulati, o di permettere persino l’identificazione del numero chiamante, oppure chissà cosa altro, non possiamo saperlo finché non ce lo spiegano loro.

  7. Luca Sofri

    È che tra le righe ci sono un tale palese risentimento e parzialità che rendono quell’ articolo esemplare del perché i lettori non si fidano dei giornalisti. Salvo quei lettori con identici sentimenti: meglio cercare di capire, credo, che segnare il punto. Grazie comunque della segnalazione.

  8. archi

    Non mi interessano i macroconcetti, ma un paio di punti che secondo me inquadrano dei possibili problemi.

    1. il concetto di fonte che non vale più la pena di coprire, che potrebbe spiegare cosa potrebbe passare per la mente di un giornalista quando fornisce le coordinate che potenzialmente potrebbero smascherare la propria fonte.
    2. il concetto di giornalista non remunerato o quantomeno precario ed il cui futuro è troppo legato ad un incerto successo professionale e quindi facilmente ricattabile ed irretibile (il tema della gratuità e della qualità tra l’altro era un tema che hai trattato pochi giorni fa, a mio modo di vedere magistralmente)
    3. la prudenza necessaria quando lo scoop giusto capita alla persona più sensibile al fatto che questo sia realmente uno scoop e cioè più propensa a credere per vera una cosa che avrebbe invece necessità di essere pesantemente verificata.

    Questi 3 concetti mi interessavano, tutto il resto è costruzione politica che tendo sempre a tralasciare e che so bene non interessano ne te ne i lettori del post. Non mi interessano le soluzioni, le trame ed i colpevoli, mi interessano i meccanismi mentali che possono scaturire in determinate situazioni.

    Magari quando ho 2 minuti di più esemplifico, buona serata per adesso.

  9. archi

    Volevo spiegare in maniera argomentata i miei dubbi e le mie supposizioni, ma mi rendo conto che li ho in larga parte già esposti che aggiungere parole non aiuta ad inquadrare meglio un’ipotesi ma genera soltanto confusione distogliendo dal concetto chiave. Qualcosa si è incrinato nel racconto dell’Espresso, quali siano le ragioni non è dato sapere e possiamo solo supporre, ma il fatto in se è ormai chiaro.

  10. archi

    Un piccolo dettaglio però, che avevo notato ma che non mi spiegavo.

    Come mai per più volte si cita la frase dell’inquirente che avrebbe confermato l’intercettazione cioè “questa volta andiamo fino in fondo” ? Non ha lacuna valenza, non serve a rafforzare una conferma, è un citazione del tutto inutile ai fini della verità.

    Poi mi è venuto in mente che potrebbe essere una richiesta di aiuto, una specie di “noi abbiamo fatto la nostra parte, ora tocca a te, non lasciarci soli”. Il personaggio viene citato come molto autorevole e quindi al di la di ogni sospetto di essere parte di un complotto, quindi con ogni probabilità si protegge, si evita di chiamarlo in causa telefonicamente in quanto lo si potrebbe scoprire, ma gli si chiede ripetutamente di farsi avanti in prima persona per confermare o chiarire la cosa.

    Il personaggio però non risponde, non si fa avanti, cosa significa?

    Logica vorrebbe se è così autorevole e affidabile non abbia ne paura ne faccia parte di una menzogna, quindi ipoteticamente i casi rimanenti più probabili che mi vengono in mente sono:
    1. ha un’indagine da portare avanti che potrebbe incriminare qualcuno (Crocetta? Lo Voi? chi altro?) e deve attenderne l’esito
    2. è stato tirato in ballo a sproposito, tipo sostenendo che si è sbilanciato in una conferma in maniera diversa da quella che invece ha fatto ed è fortemente incavolato, quindi rifiuta ogni richiesta di contatto e di aiuto

    Io leggendo la spiegazione del lavoro fatto dall’espresso ho una mia teoria, ma è solo una teoria, però provate ad immaginare la spiegazione data dall’espresso vera in senso letterale, non dando per scontato niente che non sia espressamente e inequivocabilmente esplicitato.

  11. archi

    Più leggo l’articolo dell’Espresso e più mi convinco che sia una vera e propria dichiarazione da mettere agli atti di un processo, nella quale le parole sono soppesate e usate in maniera di non autodenunciarsi ma di non esprimere falsità.

    Il primo contatto è di Maggio 2014, quindi è probabile che una bozza dell’articolo risalga a quella data, il che spiega la presenze di inesattezze non corrette poi nell’articolo di 1 anno dopo quali i “pochi mesi” o il fatto di essere “atti secretati”.

    A Maggio 2014 la fonte non gli parla della frase “come suo padre” e non gli dice che è l’intercettazione di una telefonata ma solo un brano audio di un’intercettazione, la cui trascrizione è ricopiata ma non espressamente riportata.

    Solo il 2 Luglio 2015 la fonte, in una telefonata fatidica (da qui utenza ora e data) gli parla di telefonata e gli scandisce le parole poi riportate nell’articolo “va fatta fuori come suo padre”.
    Nel rigo sotto, dopo un punto di sospensione, si afferma che il silenzio di Crocetta è incisO (singolare) nei nastri, quindi non necessariamente la frase “come suo padre”. Non si sa mai, meglio essere precisi in caso di confronto ad un processo.

    Si sottopone il testo dell’intercettazione all’autorevole inquirente (quindi non la frase riassunta al telefono, ma presumibilmente quella ricopiata dalla trascrizione), la quale conferma inequivocabilmente ed invita a pubblicare (una cosa del genere detta da autorevole inquirente, pare chiaro che questo escluda che l’intercettazione sia a questi punti secretata, tra l’altro).

    L’articolo sostiene poi una teoria difensiva, secondo la quale una “registrazione di quel tenore” (stesse parole usate dalla procura e dai NAS per smentire il testo dell’intercettazione, si noti bene) era già stata pubblicata da La Sicilia qualche giorno prima senza ricevere smentita. Concetto un po aleatorio, come sappiamo in quanto la presenza del testo “come suo padre” sarebbe l’unico motivo sul quale immaginare di poter costruire una valenza di colpevolezza ad un silenzio (anche se discutibile).

    Se ho ragione e la mia interpretazione è corretta ci sarebbe da fare fior di ipotesi più o meno fantasiose, che potrebbero far pensare che l’autorevole inquirente che avrebbe dovuto confermare sia poi quello che ha permesso a Lo Voi di smentire l’intercettazione a tempi di record, nonché quello che ha firmato la dichiarazione che non c’era una registrazione del genere fatta dai NAS.
    Una conferma malintesa da parte di un inquirente così autorevole avrebbe potuto convincere Vicinanza a pubblicare articolo così rischioso e Gilioli a sperticarsi in affermazioni rischiose sull’esistenza dell’intercettazione, nonché metterli di fronte ad una situazione di smarrimento di fronte ad una smentita così netta e veloce da parte della fonte che invece avrebbe dovuto blindarli, tanto da spingerli a cercare di giustificare la smentita con ipotesi più o meno fantasiose di casi in grado di mettere d’accordo le due versioni (atti secretati, altre procure, indagini su personaggi istituzionali ecc.) poi rivelatesi infondate.

    Più ci penso e più mi convinco che di pezzi ne mancano a questi punti veramente pochi.

  12. minimAL

    Sul “caso Crocetta” sei post consecutivi.
    Me ne aspetto il doppio sul “caso Azzolini” (di cui uno, tondo tondo, sulle dichiarazioni della Serracchiani)
    Ciao

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