Vaccate

Ho provato a trovare una risposta al dubbio di Michele Serra, che nella sua rubrica di oggi si dice scettico sul funzionamento degli algoritmi, dal momento che sui siti che visita (immagino soprattutto quello del suo giornale) compaiono inserzioni pubblicitarie stupide, malfatte e ingannevoli che “NON sono calibrate sui miei interessi e i miei gusti”.

La figlia di Milly Carlucci è probabilmente la donna più bella del pianeta. E il figlio di Christian De Sica è l’uomo più bello che sia mai esistito. Perché vi dico queste due rimarchevoli scemenze? Perché compaiono da giorni, testuali, implacabili, sul mio computer, in calce a notizie anche serie, su pagine web anche serie. Si tratta di pubblicità, o meglio di “finte notizie” che hanno lo scopo di attirare l’attenzione: tu clicchi, sbadatamente, per vedere se davvero la figlia di Milly Carlucci è la donna più bella del pianeta, e il tuo schermo diventa una specie di suk.

La risposta “tecnica” è che un po’ è vero che gli algoritmi non siano sempre intelligentissimi, anzi, e lo vediamo tutti ogni giorno. Ma nel lavorare su tendenze maggiori, probabilmente non gliene frega niente di fallire occasionalmente su quote marginali di utenti come i gusti di Michele Serra (il quale peraltro confessa di cliccare “sbadatamente”, e l’algoritmo non distingue la sbadataggine eventuale dall’interesse reale). I servizi che offrono quelle pubblicità non lo prevedono proprio Michele Serra, e i loro algoritmi distribuiscono solo vaccate, senza alternative: al massimo indirizzano una vaccata piuttosto che un’altra, non hanno banner che invitano a cliccare per conoscere le nuove tendenze della letteratura francese. Ma neanche il significato di certe parole straniere. O un video dei Beatles a Dortmund. Producono solo vaccate, e i siti che li ospitano scelgono di ospitare vaccate. Al diavolo gli interessi e gusti di Michele Serra: è come lamentarsi che in via Montenapoleone non ci siano librerie.

E qui veniamo alla risposta “sociale”. Se tutto ormai soggiace alle leggi della domanda e a una specie di maggioritario universale che offre a tutti quello che ritiene vogliano le maggioranze, perché non è sempre stato così? L’economia capitalistica non è nata in questo secolo, e nemmeno la democrazia: ovvero i due meccanismi che più celebrano i desideri delle maggioranze. Come mai “il decrepito assetto dell’informazione novecentesca aveva, in questo senso, più capacità selettiva, e miglior marketing”, come sostiene Serra?

Ovvero: come mai Repubblica pubblica contenuti – pubblicitari, ma non solo: in quegli spazi sono mescolati con una selezione mirata del morboso/torbido del giornale – che nel secolo scorso non pubblicava? Certo, c’è la tecnologia che oggi lo permette e rende il meccanismo clic-ricavipubblicitari più efficiente, ma come dice Serra i contenuti da “Cronaca Vera o Bolero” esistevano anche nel Novecento e attraevano lettori. Ma stavano su Cronaca Vera o Bolero. Quindi i casi sono due: o oggi siamo diventati tutti più interessati a quei contenuti, oppure è saltata una selezione in alto.

Detta ancora più schematicamente: è peggiorata prima la domanda di noi lettori o l’offerta dei giornali? È un po’ l’uovo e la gallina, certo, ma una risposta secondo me c’è: è peggiorata sicuramente prima la domanda di noi lettori, che siamo naturalmente portati alla curiosità per le vaccate torbido/morbose; ma talmente prima, che la novità non è quella. La novità è la rinuncia dei giornali a fare da filtro sulla qualità.

E qui, mi perdonino gli annoiati che leggono queste cose da più di dieci anni (Cacciari mode: on), stiamo solo mettendo i quotidiani fastidi di Michele Serra dentro un problema universale e ubiquo: ovvero la rinuncia delle élite – intese come chiunque abbia maggior potere nei confronti degli altri – a moderare, attenuare, dirigere la naturale inclinazione di noi umani alla soddisfazione dei nostri istinti più spontanei, l’egoismo, la vanità, l’affermazione di noi stessi, la curiosità e la gratificazione per i fallimenti altrui, l’infantile meraviglia e attrazione di fronte alle vaccate e al morboso/torbido, eccetera.
Le nostre civiltà non sono progredite perché da un giorno all’altro grandi masse di persone e popoli hanno capito come fosse bello saper leggere e scrivere, o hanno scoperto quanto fossero ingiusti il razzismo e la sopraffazione sulle donne, o hanno firmato una petizione unanime per la limitazione delle guerre. Le nostre civiltà sono progredite perché queste e altre cose nobilissime che oggi noi grandi masse condividiamo (e ancora c’è da lavorare) sono state promosse con insistenza da poteri – politici, culturali, economici – che hanno avuto il privilegio o l’impegno di educazioni migliori e hanno scelto di trasmetterle: fossero uomini e donne di cultura e scienza, governanti illuminati, persone normali che avevano studiato e letto cose “di qualità”. La cultura, il progresso civile, il miglioramento delle vite di tutti sono sempre cresciuti poco a poco con contributi individuali, più forti e importanti quanto più forti erano i poteri degli individui impegnati a farli crescere. E più le crescite culturali si allargavano e raggiungevano più persone, più il meccanismo si perpetuava e ognuno ne diventava collaboratore: per questo lo abbiamo chiamato “progresso”.
Ed è un percorso autonomo dalle leggi del mercato e dalle regole della democrazia, anche se spesso ha avuto e ha sovrapposizioni con entrambe: ma non sempre. È stato indirizzato da altro, da un’idea di “bene comune” che – minoritaria – sta pure lei nelle inclinazioni umane, ma ha bisogno di essere motivata e promossa, perché è minoritaria. Di essere dopata, perché nella competizione con le altre inclinazioni perde: a doparla è stato il grande, contagioso e planetario lavoro di costruzioni di principi, valori, giusto e sbagliato, rispetto per il prossimo, idea di convivenza e solidarietà, e soprattutto i risultati di questo lavoro che hanno mostrato che ne vale la pena. Guardatevi intorno.

A un certo punto, da due o tre decenni, i risultati si sono persi di vista: non perché non ci siano – guardatevi intorno – ma perché ci abituiamo, alziamo l’asticella, ci viziamo, abbiamo più pretese. E le frustrazioni ci peggiorano a loro volta. E contemporaneamente – uovo o gallina – le élite suddette e le loro versioni contemporanee (il business televisivo, per fare l’esempio più palese) hanno rinunciato a quel lavoro di contagio culturale positivo: hanno rinunciato a fare la loro parte di doping, e hanno sostenuto che il meccanismo democratico e le leggi del libero mercato bastassero a fare e conservare un mondo giusto e migliore. Ma non era così: del meccanismo democratico si sono impadroniti in questi anni coloro che ne hanno capito i trucchi (una cattiva informazione, un lavoro di propaganda menzognera, una celebrazione dell’ignoranza e dell’egoismo, lo rendono sterile e fallimentare), e le leggi del libero mercato in assenza di principi etici generano mostri e ingiustizie, lo sappiamo da secoli.

Il risultato – nel suo piccolo, ci mancherebbe – sono i banner che Michele Serra vede sul sito del giornale per cui scrive: esemplare corto circuito di questa sottrazione di responsabilità nella formazione “culturale” della domanda e della consegna di tutto alle leggi “naturali” della domanda. Chi può cambiare questo sono ancora coloro che hanno più potere degli altri, soprattutto chi lo ha economico e politico: ma ogni anello della catena industriale che fa arrivare alle persone mediocrità invece che qualità, vaccate invece che bene comune, ha un pezzetto di responsabilità e un pezzetto di opportunità. La relazione tra le vaccate, le feste abusive sul lago di Garda e Donald Trump è stretta.

ti arrivano addosso, ugualmente, tonnellate di pubblicità di serie B, scritte in un italiano di serie C, con un livello culturale di serie D

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