La parte giusta

Tra le conseguenze della scarsa abitudine al rigore e all’accuratezza nella gran parte dei media italiani ce n’è una indiretta ma molto importante e grave: ha consentito a chiunque, anche ai peggiori mistificatori e propagandisti in circolazione, di poter accusare di «fake news!» i propri critici, e persino di avere a volte ragione nelle loro polemiche contro i giornali. Sostenere che l’informazione sia tutta inaffidabile e screditata è un’arma truffaldina e strumentale, ma purtroppo in Italia è stata molto aiutata (c’è un ennesimo parallelismo con quello che è successo con la politica, in questo): per fare solo gli esempi più vistosi, i giornali italiani hanno consentito di mettersi dalla parte della ragione alla famiglia Berlusconi – ovvero gli editori e mandanti di una enorme quota di falsificazioni politiche e giornalistiche da trent’anni – o persino al Movimento 5 Stelle: ovvero i creatori di un fiume di narrazioni false, per fanatismo o per ignoranza, o per entrambi. E questo è forse il danno più difficile da riparare che è stato fatto alla credibilità dell’informazione: dare alibi ai mentitori, creare un contesto dove nessuno è innocente e nessuno è affidabile, e nessuno è autorevole quanto serve in questi tempi di “post verità“, cioè tantissimo.

È avvenuto anche negli Stati Uniti con Trump, anche se meno spesso e almeno con qualche dibattito e autocritica da parte dei giornali stessi quando il ben motivato antitrumpismo si è rivelato accecante rispetto alle tradizionali attenzioni e cautele sui fatti.

Se torno ora su tutto questo è perché i tempi sono diventati di guerra, ovvero la condizione che più di ogni altra incentiva le parti coinvolte a far circolare falsificazioni e bugie, e che più di ogni altra limita la possibilità di verificarle e smentirle. E in cui, più che in ogni altra, sono gravi e drammatiche le conseguenze di una cattiva informazione propagandistica sulle persone: in Russia il governo ci si sta garantendo il consenso su una guerra di aggressione, grazie alle falsificazioni propagandistiche e al loro attecchire tra la popolazione scientemente disinformata.

È per questa ragione che diventa importantissimo stare attenti a non fare gli errori e a non avere le trascuratezze consuete, nemmeno con buone intenzioni: è una guerra in cui si sa chi siano gli aggressori e chi gli aggrediti, e che a volte siamo quasi tentati di pensare che sia di “buoni e cattivi” – accantonando le complessità – tanto è palese il sopruso ingiustificato di una parte nei confronti dell’altra. In cui per essere dalla parte giusta basta essere dalla parte dei fatti e non delle menzogne («Non abbiamo attaccato l’Ucraina»). E proprio per questo bisogna mantenere lo stesso rigore per ogni informazione che si diffonde, per ogni versione a cui si dà credito, per essere inattaccabili sul piano dei fatti e del loro racconto, ed evitare che possa succedere quello che dicevo all’inizio: perché la confusione è grande, perché la propaganda non la fanno solo gli aggressori ma anche gli aggrediti, perché anche una guerra d’aggressione non finisca nel frullatore delle “verità alternative”, e soprattutto per non dare alibi o risorse di credibilità agli aggressori. Che non dovranno mai poter raccontare di avere ragione.

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