La risposta del presidente del Senato sul 25 aprile nell’intervista alla Stampa di domenica era una risposta sbagliata: meriterebbe aggettivi più severi, più indignati, più desolati, più imbarazzati, ma li hanno già usati in tanti, e sono tutti fondati, io voglio solo provare a ripetere ancora una volta come non si dovrebbero peggiorare le cose.
I titoli della Stampa su quell’intervista (in prima pagina, e poi sopra l’articolo) sono dei titoli sbagliati: e anche qui non ripeterò aggettivi diversi sulla scelleratezza e la cattiva fede di titoli così, ne parliamo da anni. Se una persona dice una cosa, si virgoletta quello che dice, non una cosa diversa. Se un articolo dice una cosa, si titola con quella cosa, non con un’altra diversa. Altrimenti non si sta raccontando la verità, si sta raccontando una balla: e sostenere che sia una “quasi verità”, o che “in sostanza” lo sia, o che sia “una sintesi” non fa che rivelare la consapevolezza dell’imbroglio. Che bisogno ci sarebbe di usare parole diverse da quelle vere, se si volesse restituire quello che è vero?
Questo avviene sui giornali italiani ogni giorno, e con reazioni di sufficienza e autoassoluzione da parte di chi fa i giornali, come se si trattasse di capricci insignificanti. Il problema, e in molti lo diciamo da anni, è che con queste “libertà” si danno argomenti e appigli al vittimismo di chi ha torto: sono anni che i peggiori ciarlatani o furfanti della politica italiana possono accusare i giornali che li criticano di dire cose false, di essere in cattiva fede, e possono screditare in sommarie generalizzazioni anche le fondatissime accuse contro di loro.
Il presidente del Senato ha risposto “Dipende” alla domanda se celebrerà il 25 aprile: basterebbe a chiederne le dimissioni, per inadeguatezza. Quasi tutti noi sessanta milioni di italiani possiamo rispondere così, e possiamo fare quello che vogliamo il 25 aprile: ma non lo può fare, né dire, il presidente del Senato, per mandato e per definizione di seconda carica dello Stato. Eppure il presidente del Senato ha gioco facile a eludere questa responsabilità e la sua stupida risposta (ecco, mi è scappato l’aggettivo) parlando d’altro e accusando il giornale che l’ha raccolta di avere mentito sulle sue parole nel titolo: perché è vero, che il giornale ha mentito in quel titolo. Questo è il vero fallimento di gran parte dell’informazione italiana che poi si lamenta, spesso giustamente, degli attacchi strumentali e interessati contro tutto quello che pure di buono fa: che a quegli attacchi dà quotidianamente le armi più efficaci – è riuscita a dare ragioni alla famiglia Berlusconi, o al M5S, nel campionato dei maggiori falsificatori nazionali -, che permette la narrazione “sono tutte balle” e lo screditamento di qualunque fonte e di qualunque notizia, tutto per non saper resistere a esagerare con un titolo falso di cui non c’era nessun bisogno.