Fare finta finché non diventa vero

C’è in giro, tra le persone di buona volontà, un lugubre scoramento dopo lo sviluppo di ieri delle vicende politiche nazionali. L’impressione è che sia diventata ineludibile una considerazione che non era per niente nuova e che affiora spesso, ma che viene continuamente rimossa e messa sullo sfondo, come se non avesse delle conseguenze di grande scala. E viene rimossa per le ragioni per cui abitualmente si rimuovono i problemi: ovvero per indisponibilità ad affrontare la loro gravità, per consapevolezza che potrebbero essere irrisolvibili, per proteggere la propria serenità quotidiana e non paralizzare le proprie speranze per il futuro. E quella considerazione, si legge in giro, è che “il problema sono gli italiani” barra “siamo un paese che non ce la farà mai”.

Ripeto, lo si dice come intercalare, da sempre: ma come intercalare, e poi si torna a comportarsi – e molte cose intorno a noi ci confortano e convincono – come se si vivesse in un grande paese moderno del 2022, una democrazia risolta e stabile, una comunità di civili connazionali consapevoli dell’appartenenza a quella comunità. Ieri questa finzione che ci siamo costruiti per ragioni di sopravvivenza, ma anche con l’aiuto di molti elementi che la rendono in parte credibile, è stata proposta disperatamente dallo stesso Mario Draghi: che ha provato a dire “comportiamoci da paese normale”. E non credo si possa pensare che Draghi sia ingenuo su queste cose: se dice così è perché sa che “un paese normale” o “un grande paese” lo si diventa decidendolo, non rinunciando, forzando una condizione e una consapevolezza che altrimenti sarebbe disarmante, e che lo è già per moltissime persone. Lo dice oggi Michele Serra:

se c’è una cosa da rimproverare a Draghi, e anche a Mattarella, è avere “fatto finta” che esistesse, in Italia, una classe dirigente in grado di fiancheggiare il loro disegno “repubblicano”.
Metà del Parlamento (metà degli italiani) la Repubblica non sa nemmeno che cosa sia, e se lo sa la odia e ne desidera la fine. Il Salvini è il primo portavoce di questa eversione torva e menefreghista, ma certo non l’unico.
Draghi è planato sulle nostre miserie prescindendo dalla loro esistenza: ma esistono, e la politica, povera lei, è anche un attento rendiconto delle miserie che la innervano. Se Draghi cade si torna alla mediocrità e al caos, ovvero alla realtà.

C’è quella frase di Zavattini che Paolo Nori cita continuamente, e io anche, dopo averla imparata da lui: “Sono pessimista ma me ne dimentico sempre”. A me serve a farmi sentire meno solo da quando ho registrato il fallimento delle ambizioni che questo diventasse un grande paese entro il 2031, e da quando continuo a rimuovere quella consapevolezza e a farmi motivare dai tanti bei segni che si vedono in giro. Se siano segni “promettenti” o solo “confortanti” (ovvero se dobbiamo ancora sperare in un grande paese oppure ulteriormente legarci a piccole comunità e minoranze), è il dubbio che ci inganna continuamente, e ci fa rimuovere, e ci fa “fare finta”. Di sicuro non cambieranno le cose continuando a dedicare tanto impegno ad accusare il prossimo piuttosto che a coinvolgerlo, che questo sia giusto o no. Finora non ha funzionato, e col solo senso di essere nel giusto non si cambia il mondo, figuriamoci il paese.

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