Una delle cose più incredibili degli sviluppi precipitosi e senza precedenti degli ultimi giorni – da qui lo si è visto con particolare chiarezza – è stata il ripetersi ineluttabile su ogni scala e in ogni luogo dell’umano e incosciente atteggiamento “magari noi la sfanghiamo”, malgrado i segnali sempre più plateali che questo fosse impensabile. Dicevamo appena tre giorni fa:
C’è, vista da qui, anche la sensazione che in misure diverse molte regioni e paesi del mondo restino in modalità “opossum”, convinti che se stanno attenti a chi entra magari la sfangano. Un po’ come ci si sentiva in Lombardia due settimane fa, o come ci si sentiva a Bergamo subito dopo Codogno, o come ci si sentiva in altri posti del Nord pochi giorni fa. I prezzi da pagare per le restrizioni forzate, in termini economici e di vita quotidiana, sono talmente inauditi che in quelle regioni e paesi si sta acquattati a sperare che passi senza dover intervenire: che Dio ce la mandi buona. Si fischietta. Non sono uno scienziato né uno statistico, e solo per questo mi limito a dire: speriamo non dover dire loro “ve l’avevamo detto”.
Questo impulso, che si è fatto pratica politica, sta saltando e sta per saltare ovunque nel mondo, ma sempre troppo tardi. Questo impulso è stato sbagliato ma normale dopo che si è saputo cosa succedeva a Wuhan. È stato sbagliato ma comprensibile dopo che si è saputo cosa succedeva a Codogno. È stato sbagliato e assurdo dopo che si è saputo cosa succedeva in Lombardia. È diventato sbagliato e folle dopo che si è saputo cosa succedeva in Italia.
Mi ha colpito e quasi commosso la scelta del presidente del Salvador ieri sera, di mettere il paese in quarantena in assenza di casi, scelta più unica che rara.
So che verrò criticato, ma mettiamoci nei panni dell’Italia. L’Italia ora vorrebbe averlo fatto prima.
Ma intorno, come spiega un commento sul New York Times di oggi, il mondo ha reagito sparpagliato, diviso, ignorando il ruolo e l’importanza delle organizzazioni internazionali (“una cacofonia invece che un coro”). Ognuno per sé, ognuno pensando che bastassero dei confini disegnati sulla carta a proteggere le proprie persone e le proprie cose, a impedire l’arrivo di un virus. Lo abbiamo preso – parlo dei paesi del mondo – per un esercito, il virus: succubi di questa unica similitudine che ci viene in mente, la guerra. Gli stessi leader politici nel mondo che hanno chiesto chiusure dei confini, si sono però indignati per le chiusure dei confini altrui. Nel momento del pericolo più grande negli ultimi 75 anni, ognuno ha pensato per sé, scelleratamente: timoroso – a differenza del presidente del Salvador – più delle reazioni immediate nel suo paese che dei pericoli in arrivo per tutti. I governi di destra hanno chiesto e ordinato blocchi e cercato colpevoli esterni, i governi non di destra hanno avuto paura dei ricatti di questo tenore e si sono adeguati, senza fare nessuno sforzo verso un intento comune. Un fuggi fuggi e ognun per sé, convinti di saper badare a se stessi.
E sapete come si chiama questa cosa?
sovranismo s. m. Posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione.
I post dei giorni scorsi su tutto questo:
– Capirlo da soli
– Da Milano
– Perché lo fai
– La foto dei Navigli
– Questo stato di cose
– Non siamo preparati